Il povero: volto che ci interpella

APPELLO ALLA GIUSTIZIA

«Come si ama l’altro? Non facendo lo scarto tra parole e Parola, tra ciò che predichiamo e ciò che pratichiamo» (Tonino Bello)

Il povero: un volto famigliare, forse fin troppo, al punto da diventare tristemente consueto. Un volto che chiede di essere riscoperto, attraverso le pagine del Deuteronomio, come appello alla giustizia possibile.

 

IN ASCOLTO DELLA PAROLA

La traduzione del brano e la meditazione che segue sono tratti dal testo di Caritas Italiana “Voci nel deserto – percorsi biblici che educano all’incontro” di Benedetta Rossi, Città Nuova. Scarica la prima tappa: “Il volto del povero: appello e richiesta di giustizia”

Dal libro del Deuteronomio (Dt 15,7-11)

«Quando vi sarà in mezzo a te un indigente, fra uno dei tuoi fratelli, in una delle tue città nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la tua mano verso il tuo fratello indigente, ma davvero aprirai la mano a lui, davvero gli presterai quanto gli manca per il bisogno in cui si trova. Bada bene di non avere una parola nel tuo cuore malvagio e tu dica: “È vicino il settimo anno, l’anno della remissione”; e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello indigente e tu non gli dia nulla: egli griderà contro di te al Signore e ci sarà in te peccato. Dà davvero a lui e non sia cattivo il tuo nel tuo dare a lui, perché proprio per questo, ti benedirà il Signore, tuo Dio in ogni opera e in ogni impresa della tua mano. Poiché non mancherà mai un indigente nella terra, perciò io comando: “Apri davvero la tua mano al tuo fratello, al tuo povero e al tuo indigente nella tua terra”».

Il testo si apre con un immediato riferimento alla presenza di un altro, diverso dall’israelita, un altro che si trova insieme a lui: Quando vi sarà in mezzo a te un indigente.

L’altro è il bisognoso, e in quanto tale non si colloca sullo stesso piano dell’interlocutore cui il testo si rivolge; la motivazione di questa presenza, e al contempo di questa differenza, è chiaramente una disparità nella distribuzione di beni.

Il termine indigente, infatti, nell’AT fa riferimento a chi materialmente si trova in condizioni di bisogno, a chi non possiede terre né raccolto e spinto da difficoltà insormontabili giunge addirittura a rendersi schiavo per poter così saldare il suo debito.

Deuteronomio, alla presenza dell’indigente, chiede la giustizia, definibile non semplicemente come «dare a tutti la stessa cosa», né come «dare a ciascuno il suo»; la giustizia si configura nel testo come una relazione tra due soggetti (l’interlocutore e il «bisognoso in mezzo a te»). Si vede, inoltre, che la questione della giustizia non consiste meramente nel rapporto di un individuo con i beni, ma piuttosto nella relazione che egli ha con gli altri per mezzo di questi beni.

La relazione che il testo ci presenta è palesemente asimmetrica; ciò nonostante si parla di «uno dei tuoi fratelli», cioè uno che appartiene alla stessa tua carne, uno nel quale è possibile contemplare il riflesso dell’immagine di un padre comune. Il testo viene a ricordarci un’uguaglianza, troppo spesso dimenticata.

 

LA GIUSTIZIA POSSIBILE

In cosa consiste la giustizia?

Non indurirai il tuo cuore. Il cuore è per l’uomo biblico il centro della persona, il luogo del sentimento e della decisione.

Un cuore indurito impedisce l’ascolto: il primo passo verso l’altro.

Per ascoltare è necessario decentrarsi, porsi in atteggiamento di umiltà e serena consapevolezza di sé: il cuore indurito è esattamente l’opposto dell’atteggiamento di chi si umilia, di chi è capace di avvicinarsi all’altro; l’indurimento del cuore porta a vagare per le proprie strade, in solitudine, senza possibilità di incontro e relazione.

Il cuore duro è il cuore che tiene schiavo.

Non chiuderai la tua mano. Certamente si chiude la mano per non dare, ma non esclusivamente: la mano rimane chiusa per colpire e anche per trattenere, per non lasciar andare, per non lasciare libero.

Ma davvero aprirai la tua mano. Al contrario, si apre la mano sia per donare, che per lasciar cadere il proprio diritto su qualcosa, rinunciando al proprio legittimo interesse su ciò che si è prestato; aprire la mano è un gesto di resa di fronte all’altro, di abbandono delle difese. Si apre la mano non per colpire, ma per accarezzare, per prendersi cura, e soprattutto si apre la mano per lasciare libero, per lasciar andare.

Davvero gli presterai quanto gli manca, La legislazione deuteronomica comanda il prestito non tanto il dono o l’elemosina. Attraverso il prestito ci si relaziona con il fratello mettendo in primo piano la sua responsabilità di adulto; allo stesso tempo vengono stimolate la sua creatività, le sue capacità, e cui egli dovrà attingere per poter restituire quanto ricevuto.

Con il prestito è possibile instaurare una relazione di reciprocità.

 

Per la riflessione

Il volto dell’indigente: mi soffermo di fronte al volto del fratello bisognoso.

Sono disposto ad andare oltre le differenze per scoprire in lui lo stesso volto del Padre, la mia stessa immagine?

Cuore indurito e mano chiusa: di fronte al fratello bisognoso quanto sono disposto a mettermi in gioco in una relazione? Cerco di prendere coscienze del mio stare sulla difensiva, per non lasciarmi coinvolgere. Piuttosto che arrendermi all’altro, preferisco indurire il cuore e alzare le difese?

Mano aperta e liberazione: cerco di percepire quanto mi costa ogni singolo gesto di liberazione, quanto mi costa rendere l’altro simile a me, portarlo al mio stesso livello instaurando una relazione di libertà e reciprocità. Talvolta è più semplice, sbrigativo e forse addirittura comodo creare relazioni di dipendenza: è drammaticamente più facile legare che sciogliere, schiavizzare che liberare.