Si comincia dall’ascolto, per poi osservare e infine discernere. Ascoltare: un gesto complesso, così come si configura attraverso le pagine bibliche, che dona occhi nuovi per vedere la realtà, che offre nuove potenzialità e possibilità di azione; Agar ci insegna che la persona ascoltata è capace di vedere la vita in un deserto di morte (Gen 21, 14-21).
IN ASCOLTO DELLA PAROLA
La traduzione del brano e la meditazione che segue sono tratti dal testo di Caritas Italiana “Voci nel deserto – percorsi biblici che educano all’incontro” di Benedetta Rossi, Città Nuova. Scarica la tappa “Voci nel deserto: l’ascolto per il compimento di una promessa”.
Dal libro della Genesi (21, 14-21)
Allora Abramo si alzò presto al mattino, prese del pane, un otre di acqua e li diede ad Agar mettendoli sopra le sue spalle; le diede pure il ragazzo e la mandò via. Ella partì e si smarrì nel deserto di Bersabea, finché fu esaurita l’acqua dell’otre. Allora abbandonò il ragazzo sotto un arbusto; andò, si sedette di fronte e si allontanò quanto un tiro d’arco, perché diceva: «Non voglio vedere la morte del ragazzo». E quando si fu seduta di fronte, alzò la sua voce e pianse. Ma Dio ascoltò la voce del giovane e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha ascoltato la voce del giovane là dove si trova. Alzati! Solleva il giovane e stringi la tua mano con la sua, perché io farò di lui una grande nazione». Allora Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora andò, riempì l’otre d’acqua e fece bere il giovane. Dio fu con il giovane ed egli crebbe, abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco. Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie del paese d’Egitto.
ENTRIAMO NELLA PAROLA
Il dramma di Agar
Sara, moglie di Abramo, si accorge che Ismaele, figlio del marito e della schiava Agar, sta giocando insieme con suo figlio Isacco ed è investita da gelosia: non riesce a entrare nella dinamica di fraternità che lega Isacco e Ismaele, ella teme che il figlio di Agar avrebbe potuto dividere l’eredità con Isacco. Ecco che sinistri sospetti e timori si impadroniscono di Sara, la quale chiede ad Abramo l’allontanamento della schiava e di Ismaele. Di fronte al disappunto del padre, il Signore stesso conferma in qualche modo la richiesta della donna: «Ascolta tutto quanto Sara ti dice, (ascolta) la sua voce».
Abramo ascolta la voce del Signore; questo ascolto dà senso e trasforma un evento, provocato all’inizio dalla gelosia di Sara: quello che effettivamente è una separazione, una lacerazione, si cambia in una possibilità di vita, in una nuova occasione di fraternità. La relazione spontanea tra Isacco e Ismaele è interrotta, ma ambedue i giovani sono “discendenza” di Abramo, benché una discendenza divisa in due popoli distinti.
L’ascolto della voce del Signore apre questo nuovo momento di senso.
Il figlio e la madre
Agar parte, coraggiosamente cammina, ma si smarrisce per il deserto di Bersabea. Di fronte alla fine imminente, la madre abbandona il figlio sotto un arbusto: la madre abbandona il figlio alle tristezze, alle afflizioni, lo getta sotto tormentosi pensieri e si allontana da lui. Agar si allontana dal figlio, non vuole vedere il frutto del suo grembo che muore: la distanza tra lei e Ismaele evoca lo spazio della disperazione, quello spazio in cui non c’è ascolto, ma solo isolamento e dramma.
In questo tormento, la madre non solo non riesce a sostenere la vista del ragazzo, ma neanche è in grado di sopportare la voce del suo lamento.
Nonostante tutto la voce della madre e la voce del figlio si fondono: quando ogni possibilità di aiuto sembra svanire, quando il dramma dell’altro è sconfinato e coperto da una distanza che pare incolmabile, è sempre possibile levare la voce per far salire fino a Dio il grido dei piccoli. Quando l’ascolto dell’altro è difficoltoso, quasi impossibile, lo spazio del non ascolto può essere trasformato da un luogo di autodifesa in un’estensione di compassione.
Agar gridando ha fatto suo il dolore del figlio: la madre invoca, Dio ascolta la voce del figlio, e infine la madre stessa è chiamata a provvedere a sé stessa e al figlio. La vita di ambedue dipende ora dall’ascolto della madre. Agar è descritta come “donna che ascolta” e “donna ascoltata”: Dio non ha prestato orecchio solo alla voce del ragazzo, ma anche a quella della madre. L’ascolto ha annullato la distanza
L’appello e la promessa
Così il Signore si rivolge ad Agar: «Alzati!». Il primo invito rivolto alla donna è quello di alzarsi e di sollevarsi dal luogo di afflizione in cui si trova; ma contemporaneamente si tratta di un appello ad andare verso quel figlio da cui si era distanziata stretta dalla morsa del dolore.
Agar, la donna che ha recepito l’esortazione divina, è chiamata a rivelare a Ismaele che la sua voce è stata ascoltata; attraverso i gesti della madre, egli comprenderà che Dio ha teso l’orecchio verso di lui: solleva il giovane, gli stringe la mano.
A questi gesti è legata una promessa da parte del Signore: perché io farò di lui una grande nazione. I gesti di Agar saranno portati a compimento dal Signore, il quale farà crescere il ragazzo e lo renderà un grande popolo.
Ascoltando la voce di Dio e accostandosi a Ismaele, Agar può far sì che la promessa su di lui si compia; la donna che ascolta e agisce in conseguenza di ciò che ha ascoltato diventa così mediatrice della promessa divina.
PISTE PER LA RIFLESSIONE
- La distanza: talvolta il dolore è così intenso e profondo che l’ascolto è quasi impossibile, intollerabile. Si cerca allora uno spazio, quello del non ascolto, uno spazio che può tenere al riparo, pur rimanendo di fronte all’altro. Mi fermo a considerare i miei spazi di non ascolto.
- «Là dove si trova»: ascoltare come raggiungere l’altro “là dove si trova”, piuttosto che attendere che egli giunga dove sono io, o dove io desidero.
- «Alzati!»: prima di ascoltare e per ascoltare è necessario alzarsi dalla propria prostrazione; posso correre, invece, il rischio di cullarmi nel mio dolore, ostacolando così l’ascolto possibile.
- Uno sguardo nuovo: ascoltare per far cambiare lo sguardo sulla realtà, per aprire orizzonti di speranza, affinché si possa vedere una riserva d’acqua in luoghi aridi e deserti.